È come a teatro: il problema non è entrare, ma uscire di scena. La Smart fortwo ha lasciato il palcoscenico dopo 26 anni, e tre generazioni, fra pubblico in piedi a battere le mani all'unico modello dei nostri tempi davvero urbano per dimensioni e lanci di rose rosse, metafora di auto con le spine per le vendite sotto le attese e il colore dei suoi bilanci. Chiuso il sipario, tuttavia, non c'è ancora il bis per un'auto così originale quanto fuori sincrono.
Se da una parte la Smart fortwo made by Daimler non ha raggiunto la desiderata fortuna commerciale perché forse arrivata troppo presto (e senza nemmeno la "colpa" di essere subito elettrica), dall'altra l'ultima serie, ormai soltanto a zero emissioni, non è stata la priorità della joint venture a guida cinese del marchio, operativa dal 2020, fra Geely e Mercedes. Mentre nuove Smart nascevano in Cina, è uscita di produzione a marzo nel sito francese di Hambach e l'eventuale arrivo di una quarta generazione resta nel limbo. Sembra sincero l'amministratore delegato di Smart Europa, Dirk Adelmann: "Non abbiamo il pianale adatto e stiamo cercando un partner per condividere gli oneri di sviluppo". Esattamente il contrario di quanto fecero i tedeschi con la prima fortwo. Di certo, spiega Adelmann, se tornerà, dovrà essere un'automobile e non un quadriciclo: "Abbiamo salvato il nome #2 per qualcosa di speciale".

La storia

Smart Fortwo

Una sfida difficile. Nell'attesa, alla storia della Smart fortwo va reso onore non soltanto per il coraggio della Mercedes di scendere dal piedistallo dell'alto di gamma, ma perché un'auto fuori sincrono non è da tutti. Ricorda un po' l'antico calendario greco, dove l'anno lunare non coincideva con quello solare più lungo, creando non pochi inconvenienti. L'asincronia la si ritrova da subito, agli inizi degli anni 90. Nicolas Hayek, il geniale orologiaio svizzero degli Swatch lanciati nel 1983 tra lo scetticismo dei mercati, pensa alla Smart come una due posti ibrida di 2,50 metri di lunghezza. Papà libanese e mamma americana, Hayek riceve dei no dai tradizionali costruttori di auto piccole, cui invano propone l'idea. Il primo dalla Fiat di Cesare Romiti e Paolo Cantarella (come ha raccontato in un inedito su Ruoteclassiche di ottobre 2023 il direttore Gian Luca Pellegrini), poi dalla Volkswagen.
Finché, nel 1995, al volante del gruppo Daimler arriva Jürgen Schrempp (ceo per dieci anni: in patria lo considereranno il più americano dei tedeschi), che vuole rivoluzionare il mondo Mercedes. Il manager sposa la proposta dell'orologiaio – presenta due prototipi, la eco-speedster con un tre cilindri a benzina e la eco-sprinter con un motore elettrico –, però cassa sia il nome Swatch per un'auto che, come l'orologio, è stata pensata per essere colorata e con plastiche intercambiabili da utilizzare secondo l'umore o l'abito del giorno, sia l'idea di una motorizzazione ibrida, che sulle linee della fabbrica di Hambach (oggi ceduta alla Ineos) non si vedrà mai. Hayek, che ha il 49% della nuova società e cede successivamente ai tedeschi l'intero controllo, abbozza sul nome (sarà Smart, peraltro nato alla Fiat, come svela ancora il direttore su Ruoteclassiche), ma si lamenterà pubblicamente di questo fuori sincrono sull'ibrido fino alla sua scomparsa, nel 2010.
Il '98 è l'anno di commercializzazione, e l'immagine della Smart fortwo continuerà ad andare per conto suo. Risultati finanziari in perdita, con un primo sostanziale pareggio soltanto nel 2007 e poi non più, molti wow e qualche battuta, come quella di un perfido collega inglese che provando la prima serie scrive: "Stasera ci esco, carico la mia ragazza o una cassa di birra?". Macchina comunque intelligente di nome e di fatto per la città, la fortwo è super agile quanto poco stabile sui pavé urbani nei giorni di pioggia, a causa del baricentro alto e del passo cortissimo. Tant'è che nel 2009, fin dalla prima guida, ci sembrò benedetta la versione Bev, con batteria sdraiata sul pianale a dare più certezze.

Mr. Swatch. Nicolas Hayek, uomo d'affari svizzero di origini libanesi, è universalmente noto come il papà dello Swatch, il celebre orologio economico con cinturino di plastica. A lui si deve anche l'idea della Smart, geniale citycar lillipuziana, oggi dal futuro incerto

Urbe caput Smart. Roma, disordinata e comprensiva per chi parcheggia la piccola tedesca perpendicolare al marciapiede come una Vespa, diventa la caput mundi delle richieste di fortwo: nei primi 15 anni di commercializzazione, sono nel complesso 1,4 milioni le unità vendute, di cui 400 mila appartengono all'Italia e ben 125.550 alla capitale, soprattutto a Roma Nord, in quella specie di triangolo delle Bermude dei quartieri-bene Parioli, Vigna Clara e Cassia.
La Smart fortwo osa anche a New York. È il 2008 e Dieter Zetsche, il nuovo ceo della DaimlerChrysler decide di venderla in Nord America, nonostante sia fuori misura anche per il segmento lì chiamato "small", in quel momento in crescita per la crisi economica e l'aumento del costo della benzina. Il New York Times sfotte Zetsche per ciò che aveva sostenuto tempo prima, riportando le sue parole: "La ragione per cui si compra un'auto piccola è che non ci si può permettere di comprarne una grande".
Il manager tedesco si pentirà dello sbarco oltreoceano e nell'aprile del 2019 chiuderà l'avventura americana della fortwo, ultimo atto del suo governo a Stoccarda prima di passare il volante al successore Ola Källenius. Per dirla tutta, aveva visto lungo Sergio Marchionne, che, in un'intervista della primavera del 2007, così ci aveva detto: "Oggi negli Stati Uniti si parla tanto di automobili economiche. Ma sono fatti ciclici, che in genere durano poco. Francamente, io la Smart negli Usa non ce la vedo proprio: per ambiente, cultura, esigenze di trasporto quotidia"o». Né la biposto decolla in Cina, dov'è in vendita dal 2009.

Nel 2017, la svolta: la Smart annuncia che entro il 2020 l'intera gamma sarà soltanto a batteria, come già negli Usa. In seno alla Mercedes nasce così il sottomarchio EQ (richiamo alla sigla Q.I. per evocare l'intelligenza della tecnologia elettrica), inaugurato proprio dalle piccolissime del gruppo di Stoccarda

Verso l'elettrico. E oltre? Nel 2017, al Salone di Francoforte viene annunciato che dal 2020 la Smart fortwo sarà esclusivamente elettrica, come già avviene negli Stati Uniti. Ma Roma Nord non è l'Upper West Side e nel triangolo romano scatta il panico: faranno affari d'oro soltanto coloro che vendono le ultime fortwo con motori termici. A Francoforte il costruttore tedesco mostra anche il prototipo Smart Vision EQ per il 2030, una due posti elettrica a guida autonoma lunga sempre 2,70 metri (dai 2,50 della prima serie), di forma più sferica e ricca di trasparenze e predizioni, come si conviene a una vera concept.
Ma è il tempo dei cinesi. Nel 2019, la Daimler assicura il futuro del marchio elettrico Smart in una joint venture con il gruppo Geely, che può contare su economie di scala mai avute dai tedeschi, se non con la Renault per la forfour. Il design rimane in Germania, mentre la produzione e le prime novità di prodotto denominate #1 e #3 finiscono nella fabbrica cinese di Xi'an, antica capitale sulla Via della Seta. Piccole macchine crescono: le Smart adesso sono sport utility ben sopra i quattro metri di lunghezza, mosse da un powertrain a batteria. Al recente Salone di Pechino viene presentata la #5, prototipo di una Suv di media grandezza. E si capisce meglio perché l'erede della fortwo sia ancora in cerca d'autore.